PRODOTTI
LA STORIA
L’Agrì è un formaggino di piccole dimensioni, la cui produzione era assai diffusa in passato presso numerose aziende agricole dell’Alta Valle. In particolare, nella zona di Valtorta, era consuetudine produrre un semilavorato denominato “pasta di Agrì”. Ogni settimana le donne della valle trasportavano questo prodotto nella vicina Valsassina, percorrendo a piedi e con le gerle in spalla il tracciato che si snoda attraverso i pascoli di Ceresola e i Piani di Bobbio.
La pasta di Agrì veniva quindi venduta agli artigiani di Barzio e Introbio che procedevano alla sua trasformazione nel prodotto finito.
Era usanza consumarli con zucchero e cannella quando freschi, con olio e una goccia di aceto aromatico quando stagionati.
IL PRODOTTO
Tipo: formaggio fresco a latte crudo e pasta cruda prodotto con latte vaccino o caprino intero.
Forma: cilindrica, con diametro di 3 - 6 cm e scalzo di 5 - 6 cm.
Peso medio: 50 grammi circa.
Crosta: è assente nel prodotto fresco; si forma con la stagionatura ed assume tonalità di colore variabile dal giallo al grigio.
Pasta: bianca e morbida nel prodotto fresco, più compatta in quello stagionato.
Occhiatura: assente.
Maturazione: da una a diverse settimane; il sapore è delicato ed aromatico.
Periodo di produzione: tutto l’anno.
LA TECNICA DI PRODUZIONE
Al latte di vacca o di capra appena munto si aggiunge l’1% di siero acido ed un po’ di caglio, al fine di ottenere la coagulazione in circa 20-24 ore. Si raccoglie quindi la cagliata in fagotti di tela di lino che vengono posti a scolare. Quando la massa è abbastanza asciutta si tolgono le tele e si aggiungono 25 grammi di sale per ogni chilogrammo di pasta; si impasta il tutto in rotoli dal diametro di circa 3 centimetri e lunghi circa 5 cm, pronti per essere consumati dopo una settimana circa di stagionatura, dapprima in ambiente fresco e umido poi in ambiente più asciutto. Nei luoghi in cui ancora oggi viene prodotto, l’Agrì è impastato e “formato” a mano, caratteristica che rende questo formaggio unico nel suo genere. Sta infatti all’abilità del casaro amalgamare pasta e sale nelle giuste proporzioni e conferire al prodotto la consistenza ottimale.
In montagna il burro era utilizzato come merce di scambio; lo si confezionava in panetti da 1 kg o da mezzo kg grazie all’impiego di stampi di legno intarsiati manualmente. Con questa tecnica era così possibile personalizzare la superficie del panetto che evidenziava in rilievo immagini agresti oppure il nome o le iniziali del produttore.
In cucina questo alimento, troppo prezioso per farne uso personale, veniva sostituito con il lardo, con lo strutto o con l’olio di lino.
Durante il trasporto dall’alpeggio al fondovalle il burro era avvolto in ampie e fresche foglie di romice.
Oggi il Burro di Montagna è prodotto dai malghesi e presso le aziende agricole di fondovalle.
La materia prima utilizzata è la panna ottenuta per affioramento, naturalmente ricca di microflora lattica, o per centrifugazione del siero. Per trasformare la panna (o crema) in burro si usa una speciale macchina chiamata zangola. Nelle versioni più semplici e tradizionali questo attrezzo assume la forma di un piccolo barile di legno all’interno del quale la panna viene sbattuta grazie al movimento verticale di un bastone provvisto all’estremità di una rotella anch’essa di legno e dotata di alcuni fori. Nel dialetto locale questa particolare zangola è denominata penàc. L’azione meccanica a cui la panna è sottoposta
determina l’agglomerazione e quindi la separazione dei globuli di grasso dalla fase acquosa (latticello). Il burro così ottenuto viene impastato a mano e successivamente modellato negli stampi di legno.
Il Burro di Montagna si presenta di forma parallelepipeda; ha consistenza dura, struttura ferma, compatta, asciutta al taglio. Il colore è variabile dal bianco al paglierino intenso, in base al tipo di alimento di cui si nutre il bestiame.
Il sapore è decisamente più intenso rispetto a quello del burro industriale.
LA STORIA
L’abilità dei malghesi nel lavorare il latte si è concretizzata nel tempo attraverso la produzione di numerosi tipi di formaggi e ha trovato conferma nella capacità di ricavare alimenti sani e nutrienti anche dai sottoprodotti della trasformazione casearia. Fa parte di quest’ultimo gruppo di derivati del latte un prodotto caratteristico delle valli bergamasche: il Fiurit o Fiurì.
Il Fiurit si ricava dal siero proveniente dalla fabbricazione del formaggio. Era abitualmente prodotto d’estate, in alpeggio, soprattutto in epoche in cui la disponibilità di manodopera non rappresentava un problema. Dal punto di vista tecnologico la produzione del Fiurit non è particolarmente complessa; richiede però molto tempo motivo per cui, in anni recenti, la possibilità di assaggiare questo gradevole latticino è stata pressoché nulla. Oggi, grazie alla pazienza e alla lungimiranza di alcuni casari, il Fiurit è nuovamente reperibile, d’estate e d’inverno, presso caseifici e aziende agricole della Valle, sia pure limitatamente ad alcuni giorni della settimana.
IL PRODOTTO
Tipo: è un prodotto che si ottiene durante la preparazione della ricotta; è il “fiore della ricotta” da cui deriva il nome.
Caratteristiche: ha la densità di uno yogurt ed è di colore bianco; il gusto è delicato, gradevole e fresco, leggermente dolce, a metà strada tra lo yogurt e la ricotta.
Periodo di produzione: tutto l’anno. È consuetudine produrre il fiorì tutte le settimane a giorni fissi.
Utilizzo: ideale a colazione con miele e confetture. Ottimo per condire la polenta.
Conservazione: in frigorifero per 4-5 giorni
LA TECNICA DI PRODUZIONE
Si scalda il siero sino alla temperatura di 85-90° C; vi si aggiunge quindi una sostanza acidificante (generalmente acido citrico oppure succo di limone o agra) per indurre, pochi istanti prima della formazione della ricotta, l’affioramento in superficie di coaguli di colore bianco; si tratta del cosiddetto “fiore di ricotta” che viene raccolto mediante una spannarola o utilizzando una tazza di legno chiamata basgiòtt per evitare che si mescoli con la ricotta. Il Fiurit così ottenuto viene quindi raffreddato e conservato in frigorifero.
LA STORIA
La Formaggella è una tipica produzione casearia della collina e della montagna bergamasca.
È un formaggio cilindrico di piccole dimensioni (il nome dialettale formagéla significa, infatti, piccola formaggia), la cui produzione in Valle Brembana è sensibilmente aumentata negli ultimi anni a fronte di mutate esigenze di commercializzazione. La necessità di produrre formaggi a pasta morbida, dal gusto delicato, facili da conservare e in ogni caso adatti, per pezzatura, alle necessità della famiglia moderna, ha indotto numerosi casari a diversificare la produzione aumentando l’offerta di questi caratteristici formaggi.
Prodotta nei caseifici e nelle aziende agricole, la Formaggella è frequentemente venduta intera oltre che porzionata; ha dimensioni, aromi e sapori variabili secondo l’area di provenienza e la tecnica di produzione.
IL PRODOTTO
Tipo: formaggio a latte crudo e pasta semicotta prodotto con latte di vacca intero.
Forma: presenta prevalentemente forma cilindrica, con facce piane aventi un diametro di 18 - 22 cm, uno scalzo di 5 - 8 cm leggermente convesso.
Peso medio: circa 1,5-2 kg.
Crosta: le forme più fresche hanno una crosta molto sottile di colore giallognolo, liscia e regolare, a volte friabile; nelle forme con più di due mesi di stagionatura diviene più scura e spessa.
Pasta: nelle forme fresche è morbida, compatta, di colore bianco; con la stagionatura acquista maggiore consistenza.
Occhiatura: è costituita da occhi molto piccoli, poco fitti.
Maturazione: da 20 a 60 e più giorni. Il sapore è delicato nel prodotto giovane e diviene più marcato col procedere della maturazione.
Periodo di produzione: tutto l’anno.
LA TECNICA DI PRODUZIONE
Al latte intero (raramente scremato) di vacca proveniente da una o due mungiture, scaldato a 34-38° C viene aggiunto il caglio in modo da ottenere la coagulazione in 35-40 minuti. La cagliata viene quindi mescolata con la spannarola e successivamente, mediante spinatura, rotta in glomeruli della dimensione di una nocciola.
Segue quindi la cottura alla temperatura di 37-42° C. Dopo un breve periodo di riposo, la cagliata viene posta nelle fascere. La sgocciolatura si protrae anche per 48 ore a temperatura ambiente. Durante questa fase è a volte effettuata una leggera pressatura.
La salatura viene eseguita a secco 1-2 volte per faccia per 24-48 ore o in salamoia.
LA STORIA
Nel dialetto bergamasco Formai de Mut significa formaggio di monte. “Mut” è sinonimo di alpeggio, con riferimento al monte che ospita, nei suoi pascoli più alti (da circa 1200 sino a 2300 metri di quota), le mandrie bovine provenienti dal fondo valle o dalla pianura. La permanenza in quota del bestiame (monticazione) varia da un minimo di 60 ad un massimo di 100 giorni o poco più, generalmente compresi tra la seconda decade di giugno e la metà di settembre. In Alta Valle Brembana il clima fresco, l’abbondanza di acqua e la grande disponibilità di pascoli ricchi di essenze aromatiche, costituiscono l’ambiente ideale per la produzione e la lavorazione del latte. Il formaggio estivo d’alpeggio si arricchisce di profumi ed aromi difficilmente riscontrabili nei
prodotti ottenuti negli altri periodi dell’anno.
In realtà già dagli inizi del 1900 con la denominazione formaggio di monte era indicata tutta la produzione casearia dell’Alta Valle, con riferimento cioè sia al formaggio prodotto in alpe sia a quello di fondo valle. Le caratteristiche e la delimitazione geografica del Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana sono definite nel D.P.R. 10/9/85 con il quale è stata attribuita a questo formaggio la Denominazione di Origine. In particolare tale decreto stabilisce che la denominazione di origine “Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana” è riservata al formaggio avente le seguenti caratteristiche: formaggio grasso a pasta semicotta prodotto esclusivamente con latte di vacca intero, proveniente da una o due mungiture giornaliere, a debole acidità naturale. L’alimentazione del bestiame vaccino deve essere costituita da foraggi verdi o affienati che derivano da prato, da pascolo, da prato-pascolo o da prato polifita della zona di produzione oltre ad eventuali integrazioni con miscele di cereali e, nel periodo invernale, con insilati di mais o erba. Si produce durante l’intero anno.
La zona di produzione e stagionatura del Formai de Mut comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti comuni: Averara, Branzi, Carona, Camerata Cornello, Cassiglio, Cusio, Piazzatorre, Foppolo, Isola di Fondra, Lenna, Mezzoldo, Moio de Calvi, Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzolo, Roncobello, Santa Brigida, Valleve, Valtorta, Valnegra.
Dal 12/6/96 il Formai de Mut è un prodotto a Denominazione di Origine Protetta.
Si produce durante tutto l’anno. In relazione alla tipologia di allevamento del bestiame, che prevede la stabulazione degli animali durante il periodo invernale, a fondovalle, con alimentazione a base di fieno e la monticazione nel periodo estivo, sugli alpeggi, con alimentazione a base di erba, il formaggio presenta delle leggere differenze. Nella produzione estiva (a marchio blu) emergono colorazioni della pasta e sapori più intensi, mentre in quella di fondovalle (a marchio rosso) la pasta presenta tonalità più chiare e sapori più delicati. Dal 1997 è attivo il Consorzio dei Produttori per la tutela e la valorizzazione del Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana (C.P.F.M.). Questo consorzio, fortemente voluto da un gruppo di operatori rappresentativo del mondo agricolo dell’Alta Valle, svolge attività di tutela della produzione, della denominazione e del commercio del Formai de Mut; ha altresì il compito di favorire il miglioramento qualitativo del prodotto, di diffonderne l’immagine e di promuoverne il consumo.
IL PRODOTTO
Tipo: formaggio a latte crudo e a pasta semicotta prodotto esclusivamente con latte di vacca intero.
Forma: cilindrica con scalzo diritto o leggermente convesso alto da 8 a 10 cm; le facce sono piane o semipiane con diametro variabile da 30 a 40 cm.
Peso medio: da 8 a 12 kg con variazioni in più o in meno fino ad un massimo del 10%.
Crosta: sottile, compatta, di colore giallo paglierino tendente al grigio con la stagionatura.
Pasta: compatta, elastica, di colore avorio leggermente paglierino.
Occhiatura: diffusa, da 1 mm di diametro fino alle dimensioni definite “occhio di pernice”.
Maturazione: minimo 45 giorni ma può essere protratta oltre l’anno. Il sapore è delicato, fragrante, poco salato, non piccante, con aroma caratteristico.
Periodo di produzione: tutto l’anno.
LA TECNICA DI PRODUZIONE
Il latte deve essere coagulato ad una temperatura compresa tra i 35 e i 37° C, con aggiunta di caglio onde ottenere la cagliata in 30 minuti. Il formaggio è prodotto con una tecnologia caratteristica. Nella lavorazione si effettua la rottura della cagliata, la semicottura della massa caseosa fino alla temperatura di 45-47° C e l’agitazione fuori fuoco. Devono altresì essere effettuate adeguate pressature utilizzando idonee presse onde consentire lo spurgo del siero. Successivamente vengono utilizzati stampi idonei denominati “fassere”. La salatura può essere effettuata in salamoia o a secco; in quest’ultimo caso l’operazione deve ripetersi a giorni alterni per 8-12 giorni.
LA STORIA
La Ricotta non può essere considerata un formaggio poiché si ottiene dal siero e non dal latte.
Il nome Ricotta deriva dal fatto che il trattamento termico cui è sottoposto il siero rappresenta generalmente la seconda cottura dopo quella effettuata per la produzione del formaggio. Può essere utilizzato sia il siero bovino sia quello caprino.
Della Ricotta bovina ne esistono due qualità: quella dolce e tenera, prodotta nei caseifici e nelle aziende agricole di fondo valle, e quella salata e di maggiore consistenza prodotta in alpeggio, tanto buona quanto difficile da trovare. Quest’ultima, due o tre giorni dopo la produzione, viene salata su entrambi i lati e posta successivamente nelle casere ove si conserva per 20-25 giorni.
Le caratteristiche della Ricotta, chiamata maschèrpa nel dialetto bergamasco, variano secondo il tipo di siero utilizzato. Il siero, infatti, ha composizione diversa sia in rapporto alla specie animale di provenienza sia in funzione del tipo di formaggio ricavato dal latte (grasso, semigrasso ecc.).
LA TECNICA DI PRODUZIONE
Subito dopo la produzione del formaggio, il siero viene riscaldato a 80-85° C; raggiunta questa temperatura si versa nella caldaia la quantità appropriata di agra (siero inacidito) e, eventualmente, un po’ di aceto.
Dopo alcuni minuti il coagulo inizia a salire in superficie e può essere raccolto con una schiumarola. La sgocciolatura del coagulo avviene attraverso apposite tele o tramite degli stampi con pareti bucate. Dopo 24 ore la Ricotta è pronta per essere consumata.
Un particolare e assai apprezzato tipo di Ricotta è quello ottenuto dal latte di capra. Si produce aggiungendo 20-25 grammi di sale ogni 100 litri di latte. Segue il riscaldamento a bagnomaria sino alla temperatura di 85-88° C. Raggiunta la temperatura desiderata si aggiunge al latte una piccola quantità di acido citrico. Il coagulo che si forma viene lasciato indurire per 10-20 minuti. Dopo il trasferimento negli stampi la Ricotta viene condizionata a temperatura ambiente per 8-10 ore e poi in cella a 4-6° C.
LA TECNICA DI PRODUZIONE
La zona di produzione dello Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche è circoscritta alla Valle Brembana e alle valli confluenti Serina, Taleggio e Imagna.
È un formaggio vaccino a latte crudo e pasta cruda ottenuto con coagulazione presamica.
La lavorazione prevede l’uso di latte di una singola mungitura.
Si lavora il latte appena munto, quando cioè la temperatura è di circa 32-36° C. Quando la cagliata è lucida e si taglia a spigoli netti, si effettua un prima, grossolana rottura mediante spannarola, con movimenti lenti e delicati, mescolando gli strati superiori con quelli inferiori per ottenere un’uniforme temperatura e distribuzione del grasso. Questa operazione può essere preceduta da un taglio verticale effettuato con la spada. Si lascia quindi riposare il coagulo per circa 10’ sino a quando il siero lo ricopre completamente. Si rompe quindi più minutamente usando preferibilmente lo spino (o la lira). Questa operazione dura circa 5-10 minuti al massimo. Poi si lascia riposare la cagliata in fondo al recipiente per circa 5-10 minuti in modo che possa separarsi bene dal siero. Si raccoglie quindi la cagliata nelle apposite tele (in ragione di Kg 3-4 ciascuna) che si mettono a scolare nelle fascere di legno (o plastica) a sezione quadrata poste sullo spersoio, sul fondo del quale sono stati messi telaini di paglia di piante locali (busche de strachì) oppure di materia plastica e ciò per permettere un più facile sgrondo del siero.
In alternativa all’uso delle tele la cagliata può essere versata direttamente negli stampi. Dopo 15-20 minuti e un primo rivoltamento, gli spersoi contenenti gli stracchini sono riposti in un ambiente avente una temperatura di circa 17-20° C e una umidità di circa il 90%. In questo locale i formaggi sostano per 18-36 ore e devono essere sottoposti a rivoltamenti frequenti.
Quando lo stracchino raggiunge la giusta consistenza, si portano le forme nel locale della salatura la cui temperatura è di circa 10-12° C. La salatura a secco viene effettuata su entrambe le facce in due distinti momenti distanziati di circa 12 ore; si utilizza sale a grana media.
Terminata questa operazione si portano gli Stracchini nel locale di stagionatura, a temperatura di 6-10° C, e ad umidità maggiore del 75%,
disponendoli sulle scalere.
Il formaggio è immesso in commercio dopo 12-20 giorni. Può stagionare anche per più tempo divenendo più aromatico e piccante.
LA STORIA
Le origini di questo alimento, molto diffuso nella vita quotidiana, sono assai antiche ed incerte. La scoperta, probabilmente, fu casuale. Questo prodotto è attestato circa nel 6000 avanti Cristo in Asia centrale in seguito importato in Europa nei Balcani.
In seguito ai contatti culturali ed alle migrazioni dei popoli che già lo usavano presso di loro, l'uso dello yogurt si diffuse presto in tutto l'Occidente fra i fenici, i greci, gli egizi ed i romani. L'opera di diffusione continuò, al contempo, in Oriente. D'uso diffuso anche fra gli Arabi, lo yogurt incontrò un eccezionale successo anche in India, ove a tutt'oggi costituisce uno dei principali alimenti della dieta locale.
LA TECNICA DI PRODUZIONE
Lo yogurt è ottenuto dal latte intero grazie all’azione simbiotica di due batteri acidogeni: il lactobacillus bulgaricus e lo spettrococcus thermofilus.
Durante la fermentazione parte del lattosio viene trasformato in acido lattico e acetaldeide, che impartiscono allo yogurt il sapore caratteristico e che, assieme alla parziale degradazione idrolitica delle proteine, lo rendono più facilmente assimilabile.
Perché lo yogurt sia attivo i fermenti lattici devono essere vivi e vitali e in gran numero, parecchi milioni in un grammo.
La produzione di acido lattico durante la fermentazione causa la precipitazione della caseina, la proteina principale del latte. L’aspetto cremoso, denso, dello yogurt è la conseguenza di questo fenomeno.
L’eliminazione di buona parte del lattosio, lo zucchero presente nel latte, che viene trasformato in acido lattico durante la fermentazione, rende lo yogurt digeribile anche nei casi di intolleranza a questo zucchero.
La presenza di lieviti vivi rende questo alimento particolarmente importante per il mantenimento della buona funzionalità intestinale. Infatti i lieviti colonizzano l’intestino, eliminando quelle specie batteriche che possono produrre tossine. Essi, inoltre, producono le vitamine del gruppo B, essenziali per la nostra salute e che il metabolismo umano non può sintetizzare.
Via Roma, 10
24010 Valtorta, BG (Italia)
Telefono: 0345.87770
Mail: latteriavaltorta@gmail.com
P.I. e C.F. 00669540163
ORARI NEGOZIO
8.00 - 12.30
14.30 - 18.30
Tutti i giorni,
domenica inclusa
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